La stele di Nora è la più antica attestazione del nome della Sardegna (Srdn)
Cosa c’è scritto nella stele di Nora?
La stele di Nora rappresenta la più antica attestazione del nome della nostra isola, Sardegna (Srdn) e riguarderebbe la costruzione di un santuario dedicato ad dio Pumay (divinità maschile conosciuta a Cipro e Cartagine) o, secondo un’altra interpretazione, una spedizione militare.
Il documento epigrafico è stato pubblicato all’interno del Corpus Inscriptionum Semiticarum sotto il numero CIS I, 144, e una parte degli studiosi ritengono che si tratti della parte minore (ed unica parte sopravvissuta) di un’iscrizione molto più lunga, distribuita su più pietre, sebbene manchi un consenso generale al riguardo.
A causa dello stato di conservazione, è possibile leggere con chiarezza circa metà delle lettere, mentre l’altra metà nonostante il competente intervento degli epigrafisti, rimane dubbia: il colore rosso o violetto è stato tracciato, talvolta con errori, nell’Ottocento, nel tentativo di facilitare la lettura.
Quando e dove fu scoperta?
Scoperta alla fine del XVIII sec., in una vigna nei pressi della chiesetta di S. Efisio a Nora, è una delle epigrafi fenicie più discusse del Mediterraneo occidentale.
A proposito di Nora
Nora sarebbe la prima città sarda secondo lo scrittore Pausania (seconda metà II secolo), indicando come fondatore della città Norax da Tartesso.
Sappiamo invece che la prima città fenicia fondata in Sardegna fu Sulky nel 780 a. C. circa. Mentre per Nora nell’VIII sec. abbiamo solamente resti come buche di palo e ceramiche che indicano la presenza di un probabile emporio fenicio sull’altura di Coltellazzo.
Nel VI sec. a.C. Abbiamo tracce di strutture consistenti che indicano il sorgere della città: arrivarono i Punici da Cartagine, l’odierna Tunisi; Nora dista dall’Africa appena 180 km.
Nel III sec. a.C. (234 a. C. occupazione e 227 provincia romana) la città fu conquistata dai Romani che la ampliarono e ne fecero un importante scalo che contava circa 8000 abitanti.

I resti prevalenti sono quelli di epoca romana (quattro edifici termali, un teatro, un anfiteatro e alcune ville signorili), quando Nora per un certo tempo fu sede del governo di Roma e principale città dell’isola. Sostituita da Karalis, rimase comunque caput viae, ossia città a partire dalla quale si calcolavano le distanze.
Con l’arrivo dei Vandali nel 455, la città viene lentamente abbandonata e nel VII secolo, quando cominciarono le scorrerie dei pirati saraceni, Nora più che essere centro urbano svolgeva la funzione di presidium (fortezza militare).
La riemersione di una parte del tophet punico in seguito a una mareggiata (1889), da inizio agli scavi, subito sospesi dopo il ritrovamento di urne e stele. Lavori sistematici furono intrapresi soltanto nel 1952 e terminarono nel 1977. Vennero allora alla luce strade ed edifici, fortificazioni puniche e romane (capo di Coltellazzo), tombe romane nella zona dell’istmo e le terme a mare; ma parte della città rimane ancora da scavare.
A che periodo risale la stele di Nora?
È datata IX/VIII sec. a. c.
Dove si trova?
Si trova al Museo Archeologico nazionale di Cagliari.
La stele è stata esposta dal settembre 2004 al gennaio 2005 al Metropolitan Museum of Art di New York, all’interno della mostra temporanea Assyria to Iberia at the Dawn of the Classical Age, Dall’Assiria all’Iberia all’alba della civiltà classica.[41]
Dall’aprile all’ottobre del 2016 l’iscrizione è stata invece offerta ai visitatori del Museum und Park Kalkriese in Germania, museo sorto nel probabile luogo della battaglia di Teutoburgo, all’interno della mostra temporanea Gefahr auf See – Piraten in der Antike, “Pericolo sul mare – Pirati nel mondo antico”
“Il tempo dei fenici-la stele di Nora. R. de Simone”
Sabatino Moscati, Nuova luce sulle stele di Nora, vol. 42, in Rendiconti. Atti della Pontificia accademia romana di archeologia, 1969-1970, pp. 53-62.
Sabatino Moscati, Le stele puniche di Nora nel Museo Nazionale di Cagliari, Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, 1970.
Sabatino Moscati, Una stele di Nora, vol. 10, in Oriente Antico, 1971, pp. 145-146.