Riportiamo una parte di un interessante racconto di una cara amica: Cinzia Oliveri, su Lord Brassey e Ingurtosu.
“Il primo villaggio che attraversiamo si chiama Pitzinurri, dove ora sono presenti alcuni B&b, un bar, un ristorante e altri servizi turistici ricavati dal recupero di alcuni dei complessi abitativi destinati agli operai. Il recupero ad uso turistico di questi caseggiati nel piazzale principale di Pitzinurri è opera del coraggio dei giovani imprenditori del ristorante “la Casa del Minatore”, che oltre ad offrire una prelibata cucina di terra e di mare con prodotti a km 0, conferenze e laboratori del gusto, in collaborazione con i produttori diretti del territorio, propone anche escursioni guidate alle miniere della zona e al museo multimediale minerario di Ingurtosu.
Nascoste alla vista dalla vegetazione, su due alture poste a sinistra e a destra della strada, svettano Villa Idina e Villa Wright, costruite nei primi anni del 1900, rispettivamente dimora del direttore e del vicedirettore della miniera durante il lungo periodo della gestione inglese.
La prima, uno splendido edificio in stile “Liberty”, appartenne al nobile gallese Lord Thomas Alnutt, Conte di Brassey e Visconte di Hyte, proprietario e direttore della miniera a partire dal 1890, che dedicò il nome della dimora a sua moglie, Lady Idina Nevill Maria.
Vale la pena svoltare nel primo vialetto sulla sinistra, dopo il “ristorante il minatore” e fare una passeggiata a piedi fino alla villa. Sia perché ci si riempie gli occhi di un panorama a perdita d’occhio, sia perchè qui sono state scritte molte delle storie di questa valle.
Questo video restituisce con le immagini un’idea dell’atmosfera che si respira in questa dimensione sospesa tra presente, passato e assenza di tempo. È stato girato con il drone da Marco Saba, proprietario dell’Agriturismo La Quercia, una delle tante eccellenze del gusto e dell’ospitalità disseminate nelle colline circostanti.
Lord Brassey e Ingurtosu
Lord Brassey, come viene comunemente chiamato, alla fin dei conti è solo uno dei tanti nomi illustri che per oltre un secolo si avvicendarono nel possesso e nella gestione moderna delle miniere di Ingurtosu e Gennamari: i primi furono due imprenditori liguri, Marco e Luigi Calvo, che fondarono la prima società mineraria nel 1853 per poi venderla, subito dopo, ad una società francese che affidò l’intera gestione a tecnici tedeschi. Questa, infine, vendette le concessioni ad una società inglese, con l’ingresso in scena del nobile gallese.
Ogni cambio di proprietà e di gestione registrò progressi produttivi e scientifici di portata tale da trasformare la selvaggia vallata de Is Animas in una delle realtà industriali più precoci, innovative ed importanti d’Italia e d’Europa, nel settore estrattivo, agli albori dell’epoca contemporanea, cominciata quando il Regno d’Italia ancora non esisteva.
Lord Brassey, però, non restò solo un nome illustre. Lui era uno di quei personaggi capaci di imprimere un segno permanente non soltanto nella storia materiale di un luogo ma anche nella sua più profonda identità sociale e nella vita quotidiana della gente. Investì moltissimo denaro nell’ampliamento e nella modernizzazione delle infrastrutture senza però mai perdere di vista l’attenzione verso quel fattore produttivo che faceva funzionare una macchina perfetta: gli operai e le operaie e le loro famiglie, impegnati in uno dei lavori più logoranti e spaventosi che ci siano: quello in miniera.
Nello spazio di pochissimi anni la comunità locale passò da un’economia prevalentemente rurale ad un’economia industriale, dal lavoro autonomo, libero ed individuale al lavoro dipendente, salariato ma ubbidiente. La rigida disciplina collettiva prese il posto dell’anarchia individuale e i pastori e contadini della zona divennero operai, abitando per oltre un secolo valli disabitate dai tempi delle prime invasioni saracene. Costruirono una nuova comunità, sparsa su sette borghi distribuiti lungo tutta la valle Is Animas: Casargiu, Bau, Gennamari, Pitzinurri, Ingurtosu, Pireddu e Naracauli, tutti collegati tra loro da strade. E non si sentirono mai abitanti di diversi villaggi ma parte della stessa grande famiglia degli operai della miniera.
A questa nuova comunità Lord Brassey seppe guardare con un’umanità il cui ricordo è ancora vivo nella memoria collettiva locale; un fatto di per sé straordinario, poiché coinvolse gente che non fu mai servile nè indulgente con i padroni della miniera.
“Loro” e i “padroni” appartenevano a mondi diversi non solo per posizione sociale ed economica ma anche per origine geografica e culturale. E dall’abisso che separava quel “noi” da “loro” nacque la classe operaia locale, a cui apparteneva la stragrande maggioranza della popolazione lavorativa di Guspini e Arbus e che diede vita ai primi e più clamorosi scioperi di lavoratori in Italia.
Lord Brassey, però, provò a colmare quell’abisso.
Era solito pranzare con gli operai, quando visitava i siti di estrazione e ascoltava i loro problemi. Parlava molto bene l’italiano e imparò anche un po’ di lingua sarda, tanto che spesso ne usava qualche tipica espressione quando si rivolgeva alle maestranze locali. Era affascinato dalla Sardegna, che girò in lungo e in largo e dai Sardi, tra i quali aveva molte amicizie anche al di fuori dell’ambiente di lavoro. In una sua lettera riportata all’interno del saggio di Robert Tennant “Sardinia and its resources”, del 1883, scritta prima che diventasse proprietario della miniera, si mostrava colpito dalla dignità con cui gli uomini e le donne conosciuti durante i suoi viaggi nell’Isola affrontavano le loro difficili esistenze e conservò questa rispettosa ammirazione quando si trovò a gestire il duro lavoro dei minatori, investendo moltissimo in opere per migliorare la loro vita quotidiana anche al di là del lavoro.
Nei primi anni del ‘900, oltre a molti alloggi per operai, tutti dotati di servizi e di un orticello per ciascun nucleo abitativo, fece costruire nel villaggio principale di Ingurtosu la chiesa, un moderno ospedale, la scuola elementare e altri edifici e strutture destinate ai bisogni sociali primari della popolazione. Questo, in un’ epoca in cui il valore della vita di un operaio, fosse anche stato un bambino, normalmente valeva poco più di quella di un animale da produzione.”
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